24 Aprile, 2024

Storia della guerriglia. Tattica e strategia della guerra senza fronti

Odoya è una casa editrice che si occupa in modo originale di tematiche relative alla storia militare, ripubblicando testi ormai da anni fuori commercio, l’ultimo della serie di recente pubblicazione è una perla per gli studi sui conflitti irregolari e in particolare per l’analisi del concetto di guerriglia. Si tratta del libro di Werner Hahlweg, Storia della guerriglia. Tattica e strategia della guerra senza fronti.

Io l’ho letto per la prima volta ai tempi della mia tesi che si focalizzava sul tema dell’attuale trasformazione dei conflitti e ovviamente all’epoca l’unica edizione reperibile era la vecchia Feltrinelli (dell’ormai lontano 1973, mentre l’edizione originale in tedesco è del 1968) in biblioteca che fotocopiai interamente. Più volte nelle mie ricerche sono tornato a confrontarmi con il libro di Hahlweg (1912-1989) e in generale con il suo pensiero (ricordo che fu anche il curatore della raccolta di tutti gli scritti di Clausewitz) perché oggi parlando di guerra e di sicurezza internazionale non è possibile farlo senza prendere in considerazione il tema della guerra irregolare, ovvero dei conflitti che vedono coinvolti, almeno da un lato del fronte, attori non-statuali. E per meglio comprendere questa forma di conflitto serve studiarne la storia, l’evoluzione e il pensiero strategico che la sostiene ed è qui che Storia della guerriglia mostra tutta la sua rilevanza.
Il testo impiega una prospettiva storica per chiarire la natura della guerriglia e ogni capitolo ha un suo focus in un specifico contesto storico, politico e sociale, perché, come mostra molto chiaramente Hahlweg, la guerriglia ha degli elementi tattico strategici praticamente immutati, ma al contempo il quadro politico in cui si inserisce ne cambia in modo sostanziale obiettivi, dinamiche e ampiezza. Benché questa particolare forma di conflitto sia antichissima solo con il XVIII secolo in Europa vengono scritti i primi trattati e nascono le prime riflessioni teoriche al riguardo. I passaggi successivi sono poi intrinsecamente legati all’evoluzione del pensiero politico occidentale e alle sue principali teorie moderne. Perché come sottolinea Hahlweg con la guerra di indipendenza americana (1775-1783) e la rivoluzione francese la guerriglia prende il nome di guerra di popolo diventando quindi una sorta di movimento di massa legandosi al tema nascente della nazione. È in questa concezione che con la guerriglia spagnola contro Napoleone (1808-1814) il termine entrerà nell’uso comune e acquisirà il senso di lotta dal basso contro un’invasore. Questo nodo concettuale è fondamentale per due ragioni. Primo, da quelle esperienze belliche Clausewitz, e gli altri riformatori prussiani, trarranno le loro idee per la lotta in Prussia, idee che Clausewitz riproporrà nel famoso Libro VI del suo Della Guerra in cui parla appunto di guerra di popolo. Secondo, quel momento storico verrà poi ancora identificato da Carl Schmitt come il momento di origine del moderno partigiano, l’archetipo del combattente irregolare, nel suo Teoria del partigiano.
Un ulteriore passo in avanti venne poi fatto con Marx ed Engels e soprattutto con Lenin, l’introduzione delle barricate e l’idea che l’azione del popolo nella guerriglia sia diretta dal partito. Hahlweg mette poi in luce come anche durante la guerra totale per eccellenza, ovvero la Prima guerra mondiale, il ruolo giocato dalla guerriglia sia stato tutto fuorché nullo e si sofferma a lungo ad analizzare l’azione di Lawrence d’Arabia tra il 1916 e il 1918, ma anche i franchi tiratori belgi o le azioni in Persia.
Il capitolo sulla Seconda guerra mondiale è molto interessante non tanto per le operazioni che l’autore ricorda, quanto per il fatto che collega la guerriglia alle azioni degli eserciti regolari e dunque al contesto strategico più generale. Analizza, per esempio, i motivi per cui il Blitzkrieg tedesco con la sua idea di avanzata in profondità abbia in realtà favorito la nascita di movimenti guerriglieri e di conseguenza facilitato la sconfitta tedesca (una lezione che abbiamo nuovamente imparato in occasione dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003). Si dilunga poi ad analizzare le operazioni del SOE e della Gran Bretagna che sovvenzionarono e appoggiarono in modo massiccio i vari movimenti partigiani in Europa.
Il capitolo 7 affronta, invece, l’ampio tema delle lotte di decolonizzazione del XX secolo e prende in esame i teatri più caldi e importanti dalla Cina all’Algeria alla Malesia. In tale contesto non poteva ovviamente non approfondire le idee relative alla guerriglia di Mao Tze-tung e la sua influenza su tutti i movimenti comunisti dell’epoca. Al contempo però non dimentica di ricordare altri autori tornati poi famosi una decina di anni fa quando, nel contesto della guerra in Iraq, si tornò a parlare di, e riflettere sul, concetto di controinsorgenza come per esempio il francese Roger Trinquier.
Storia della guerriglia è un’opera indispensabile per comprendere la natura profonda, e in gran parte immutabile e immutata, della guerriglia intesa come guerra irregolare, ma è un testo che non va letto per la sua ricostruzione storica che oggi può contare su fonti molto più numerose. Al contrario, il libro deve essere letto come una chiave di volta per penetrare, attraverso varie ricostruzioni storiche, personaggi, azioni, idee politiche e contesti sociali, la vera natura del fenomeno guerriglia che in tutti i contesti presenta caratteristiche uguali: unità numericamente ridotte e di conseguenza l’azione è condotta da piccole bande irregolari che operano per obiettivi tattici limitati; queste bande agiscono disperse e alla spicciolata facendo perdere di vista il quadro strategico entro cui si inseriscono; è una forma di lotta contro l’ordine costituito; il partigiano ha doti particolari, è convinto della propria causa; agisce prettamente al coperto attraverso imboscate e sabotaggi che sono gli strumenti prediletti di qualunque formazione guerrigliera; non conosce fronti o limiti territoriali.
Il testo di Hahlweg sul mercato italiano va a fare compagnia all’ottimo libro di qualche anno fa di Gastone Breccia, L’arte della guerriglia che mi riprometto di analizzare qui sul blog più avanti, perché dopo questo post sul testo di Hahlweg ho intenzione di inaugurare una serie di interventi a cadenza più o meno regolare per segnalare pubblicazioni sul tema della guerriglia e in generale della conflittualità non statuale.

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