La violenza in varie forme (guerra, guerriglia, terrorismo, omicidi politici e chi più ne ha più ne metta) è sempre stata presente nella vita politica di ogni società e periodo storico. Il XXI secolo non sfugge a questa realtà e, malgrado nei decenni precedenti ci si fosse cullati nella speranza di almeno eliminare alcune forme di quella violenza, oggi sappiamo che ciò non è corrisposto alla realtà. In particolare la tortura è tornata prepotentemente a essere un elemento importante legato alla politica internazionale, alla cosiddetta Global War on Terror e alle modalità, lecite o meno, per garantire la sicurezza. Il testo di Marco Di Giovanni, Cinzia Rita Gaza, Gabriella Silvestrini (a cura di), Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei diritti (Morlacchi Editore, 2017 editore molto attivo nella pubblicistica accademica con un catalogo interessante) prende proprio in esame il tema della tortura nel mondo contemporaneo affrontando la problematica da diversi punti di vista e con vari percorsi di ricerca mettendo in comunicazione più discipline come la storia del pensiero politico e delle istituzioni, la riflessione giuridica, quella filosofica e politologica.
Perché
la tortura? Perché nel XXI secolo, per varie ragioni e in particolare
per la minaccia terroristica, il fenomeno è tornato in auge grazie al
ragionamento per cui si può barattare qualche principio democratico per
una maggiore sicurezza. Perché “il torturatore, al di là dei suoi scopi
inquisitori, usa il corpo della vittima per comunicare. La tortura è, in
fondo, uno spaventoso linguaggio che richiede di essere decodificato”
(p.15). Ed è quindi importante cercare di comprendere questo linguaggio
che spesso è rivolto non all’audience globale, ma ai singoli avversari
politici.
Il problema del terrorismo e la tortura sono quindi
intrinsecamente legati perché l’elemento del “terrore” è comune a
entrambi. Banalmente “terrore” è il fondamento stesso del fenomeno del
terrorismo, ma il “terrore” è anche l’obiettivo della tortura e del
torturatore che mira sì a instillare il terrore nella vittima al fine di
tradire i suoi amici o a svelare segreti, ma anche, e forse
soprattutto, in soggetti terzi, ovvero nei membri del gruppo rivale che
quindi dovrebbero rimanere bloccati o abbandonare la lotta nel timore di
subire la stessa sorte.
Il testo si articola in quattro sezioni
principali. Nei quattro capitoli che compongono la prima viene
affrontato il tema delle giustificazioni della tortura sia guardando al
rapporto tra verità e tortura (si tortura per ottenere informazioni
veritiere e su questo aspetto il capitolo di Marina Lalatta Costerbosa
sul problema della ticking bomb è molto interessante) sia le
giustificazioni che sottolineano la necessità di aumentare la sicurezza.
In questa sezione compare anche un saggio critico a firma di Gianluca
Dioni sul trattato contro la tortura di Christian Thomasius che
interpreta la tortura come una pena anticipata e quindi ingiusta.
Nella
seconda parte viene preso in esame il legame tra tortura e democrazia.
Qui il focus principale è ovviamente sugli anni più recenti e su quel
fenomeno complesso che è la Global War on Terror, ma viene altresì
sottolineata la presenza del fenomeno in molte guerre asimmetriche del
XX secolo in cui le democrazie occidentali sono state protagoniste (si
veda a questo proposito il capitolo di Cinzia Gaza). In questo quadro
non poteva mancare la riflessione sui rapporti tra la tortura e il
regime politico di riferimento ovvero quello democratico e quello
totalitario su cui si sofferma, con una riflessione più filosofica, il
capitolo curato da Gabriella Silvestrini che non solo mette in luce la
rottura di un percorso partito con l’Illuminismo avvenuta con l’11
settembre 2001, ma riprende anche Foucault, Sorvegliare e punire per meglio contestualizzare il discorso moderno e democratico relativo alla tortura.
Nella
terza parte viene adottato uno sguardo più storico al fine di
analizzare casi storici e specifici dell’uso della tortura. Se alcune
tematiche erano già state toccate in precedenza, qui vengono
maggiormente approfondite. È il caso, per esempio, del rapporto
democrazia e tortura e della guerra in Algeria che vide i soldati
francesi protagonisti di azioni estremamente violente (è il tema del
capitolo scritto da Diego Guzzi). Oppure la relazione tra tortura e
regimi totalitari ricostruita da Eleonora Natale studiando l’Argentina
degli anni ’70. Completano lo sguardo storico i capitoli su Roma (Paolo
Garbarino) e il caso meno noto in Occidente dell’Uganda dal periodo
coloniale al XX secolo (Cecilia Pennacini).
L’ultima sezione del
volume si focalizza, invece, sugli aspetti giuridici del problema,
sull’erosione dei diritti rimessi in discussione negli ultimi decenni e
quindi sul concetto di stato di diritto nel XXI secolo.
Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei dirittiIl testo tocca indubbiamente un tema centrale della realtà politica del nuovo millennio e lo fa in modo completo impiegando vari approcci per cercare di dare un quadro esaustivo sulla tortura da un punto di vista sia storico sia filosofico/politologico. Un volume utile per chi voglia approfondire il tema e guardarlo da più prospettive.
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