19 Aprile, 2024

Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei diritti

La violenza in varie forme (guerra, guerriglia, terrorismo, omicidi politici e chi più ne ha più ne metta) è sempre stata presente nella vita politica di ogni società e periodo storico. Il XXI secolo non sfugge a questa realtà e, malgrado nei decenni precedenti ci si fosse cullati nella speranza di almeno eliminare alcune forme di quella violenza, oggi sappiamo che ciò non è corrisposto alla realtà. In particolare la tortura è tornata prepotentemente a essere un elemento importante legato alla politica internazionale, alla cosiddetta Global War on Terror e alle modalità, lecite o meno, per garantire la sicurezza. Il testo di Marco Di Giovanni, Cinzia Rita Gaza, Gabriella Silvestrini (a cura di), Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei diritti (Morlacchi Editore, 2017 editore molto attivo nella pubblicistica accademica con un catalogo interessante) prende proprio in esame il tema della tortura nel mondo contemporaneo affrontando la problematica da diversi punti di vista e con vari percorsi di ricerca mettendo in comunicazione più discipline come la storia del pensiero politico e delle istituzioni, la riflessione giuridica, quella filosofica e politologica.

Perché la tortura? Perché nel XXI secolo, per varie ragioni e in particolare per la minaccia terroristica, il fenomeno è tornato in auge grazie al ragionamento per cui si può barattare qualche principio democratico per una maggiore sicurezza. Perché “il torturatore, al di là dei suoi scopi inquisitori, usa il corpo della vittima per comunicare. La tortura è, in fondo, uno spaventoso linguaggio che richiede di essere decodificato” (p.15). Ed è quindi importante cercare di comprendere questo linguaggio che spesso è rivolto non all’audience globale, ma ai singoli avversari politici.
Il problema del terrorismo e la tortura sono quindi intrinsecamente legati perché l’elemento del “terrore” è comune a entrambi. Banalmente “terrore” è il fondamento stesso del fenomeno del terrorismo, ma il “terrore” è anche l’obiettivo della tortura e del torturatore che mira sì a instillare il terrore nella vittima al fine di tradire i suoi amici o a svelare segreti, ma anche, e forse soprattutto, in soggetti terzi, ovvero nei membri del gruppo rivale che quindi dovrebbero rimanere bloccati o abbandonare la lotta nel timore di subire la stessa sorte.

Il testo si articola in quattro sezioni principali. Nei quattro capitoli che compongono la prima viene affrontato il tema delle giustificazioni della tortura sia guardando al rapporto tra verità e tortura (si tortura per ottenere informazioni veritiere e su questo aspetto il capitolo di Marina Lalatta Costerbosa sul problema della ticking bomb è molto interessante) sia le giustificazioni che sottolineano la necessità di aumentare la sicurezza. In questa sezione compare anche un saggio critico a firma di Gianluca Dioni sul trattato contro la tortura di Christian Thomasius che interpreta la tortura come una pena anticipata e quindi ingiusta.
Nella seconda parte viene preso in esame il legame tra tortura e democrazia. Qui il focus principale è ovviamente sugli anni più recenti e su quel fenomeno complesso che è la Global War on Terror, ma viene altresì sottolineata la presenza del fenomeno in molte guerre asimmetriche del XX secolo in cui le democrazie occidentali sono state protagoniste (si veda a questo proposito il capitolo di Cinzia Gaza). In questo quadro non poteva mancare la riflessione sui rapporti tra la tortura e il regime politico di riferimento ovvero quello democratico e quello totalitario su cui si sofferma, con una riflessione più filosofica, il capitolo curato da Gabriella Silvestrini che non solo mette in luce la rottura di un percorso partito con l’Illuminismo avvenuta con l’11 settembre 2001, ma riprende anche Foucault, Sorvegliare e punire per meglio contestualizzare il discorso moderno e democratico relativo alla tortura.
Nella terza parte viene adottato uno sguardo più storico al fine di analizzare casi storici e specifici dell’uso della tortura. Se alcune tematiche erano già state toccate in precedenza, qui vengono maggiormente approfondite. È il caso, per esempio, del rapporto democrazia e tortura e della guerra in Algeria che vide i soldati francesi protagonisti di azioni estremamente violente (è il tema del capitolo scritto da Diego Guzzi). Oppure la relazione tra tortura e regimi totalitari ricostruita da Eleonora Natale studiando l’Argentina degli anni ’70. Completano lo sguardo storico i capitoli su Roma (Paolo Garbarino) e il caso meno noto in Occidente dell’Uganda dal periodo coloniale al XX secolo (Cecilia Pennacini).
L’ultima sezione del volume si focalizza, invece, sugli aspetti giuridici del problema, sull’erosione dei diritti rimessi in discussione negli ultimi decenni e quindi sul concetto di stato di diritto nel XXI secolo.

Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei dirittiIl testo tocca indubbiamente un tema centrale della realtà politica del nuovo millennio e lo fa in modo completo impiegando vari approcci per cercare di dare un quadro esaustivo sulla tortura da un punto di vista sia storico sia filosofico/politologico. Un volume utile per chi voglia approfondire il tema e guardarlo da più prospettive.

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